COSA PUÒ SALVARE DAVVERO LA VITA ALLE DONNE?
Ce lo siamo chieste ancora una volta dopo il femminicidio avvenuto a Concordia Sagittaria, perpetrato di fronte ai tre figli della donna per mano del loro padre.
Victoria Osage aveva avuto la forza di chiedere aiuto perché si era già rivolta ad un Centro antiviolenza (era in attesa di essere accolta in una Casa rifugio ma l’operazione era stata rallentata dalla sua positività al Covid-19), era già stata quattro volte in Procura e i suoi figli erano già stati ascoltati in audizione protetta. Una cosa non aveva fatto: denunciare. È stata dunque lei stessa a firmare la sua condanna a morte, perché non è riuscita ad “andare fino in fondo”? No! Dobbiamo evitare di cadere nel tranello di colpevolizzare la donna per non aver compiuto tutti i passaggi che ci saremmo aspettati. E questo per due ordini di motivi: perché dobbiamo conoscere le dinamiche della violenza di genere e perché le Istituzioni hanno la facoltà di ricorrere a precisi strumenti per tutelare le donne e i/le loro figli/e.
Le operatrici dei Centri antiviolenza sanno bene che per una donna decidere di lasciare o querelare il partner violento è la scelta più difficile, perché è consapevole che dal quel momento correrà rischi ancora più grandi, che la sua libertà non è garantita. La querela rappresenta infatti il momento più pericoloso per una donna e spesso i femminicidi avvengono proprio in questa fase.
Ci chiediamo se sia possibile che le Istituzioni preposte possano intervenire prevedendo una valutazione del rischio che la donna e i figli e figlie stanno correndo, con la possibilità di procedere anche con l’allontanamento del maltrattante.
Durante la pandemia i Centri antiviolenza e le Case rifugio non hanno mai sospeso la propria attività, pur dovendo riorganizzare con fatica il lavoro, per salvaguardare la salute sia delle operatrici sia delle donne che chiedono aiuto. Offrire un’opportunità abitativa alternativa anche a donne positive al coronavirus è stato una tra le sfide più difficili dell’ultimo anno; per questo, la Ministra per le Pari Opportunità e la famiglia e la Ministra dell’Interno avevano inviato una Circolare a tutte le Prefetture per individuare e rendere disponibili ulteriori alloggi, con la garanzia della necessaria sicurezza sanitaria.
Circolare che è rimasta lettera morta. Rimandando la responsabilità ancora una volta ai Centri antiviolenza che da soli hanno dovuto provvedere a reperire tali alloggi.
Cosa può salvare davvero la vita alle donne, quindi? Il lavoro sinergico e la formazione specifica di tutti soggetti che, a vario titolo, entrano in contatto con donne che vivono situazioni di violenza. Accanto al Centro antiviolenza deve esserci una rete competente e formata nella valutazione del rischio, accompagnata da adeguate risorse finanziarie per sostenere tutti gli interventi necessari.
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